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Caffè

(Coffea arabica, Coffea canephora, Coffea liberica, Coffea excelsa; fam Rubiacee)

Il caffè è una bevanda bruna e dal gusto amaro ottenuta dalla macinazione dei semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali appartenenti al genere Coffea (principalmente: arabica, robusta, liberica) la quale, bevuta, provoca effetti stimolanti e che differisce, secondo la specie usata (o la miscela di varie specie) per gusto e quantità di caffeina, la principale metilxantina costituente. La specie arabica, più nota e diffusa, è originaria dell’Etiopia, mentre la robusta nasce in Africa tropicale. In ogni caso il consumo di caffè si estende, dal 1500, a livello mondiale fino a che, nel 1700, può dirsi consolidata ovunque.

Costituenti e meccanismo d’azione

Gli studi chimici sul caffè hanno messo in luce più di 900 sostanze diverse. La quantità di cellulosa e polisaccaridi varia, nelle due specie, dal 29 al 35%; i grassi dal 7,2 al 16,5%; la trigonellina (alcaloide piridinico, C7H7NO2) dallo 0,3 all’1,4%; gli acidi clorogenici dal 5 all’8,5%; l’acqua dal 6 al 14%; gli zuccheri dal 7 al 10%.

Nel processo di torrefazione, la trigonellina viene de metilata ad acido nicotinico (niacina o vitamina PP), una tazza di caffè in “stile italiano” ne contiene 2-3mg (il fabbisogno giornaliero è di 10mg).

La caffeina è un alcaloide trimetilxantinico (C8H10N4O2) con attività farmacologica molteplice. Assorbita a livello gastrointestinale e sublinguale, svolge azione stimolante sul sistema nervoso centrale intervenendo sulle sinapsi: attiva il livello di attenzione, ha debole attività diuretica, a dosi alte ha attività antidolorifica e irritante sulle pareti gastriche. Passa la barriera ematoencefalica ed è secreta nel latte materno. La caffeina è metabolizzata a livello epatico dal CY P450, dove è convertita in 3 dimetilxantine. Di queste, la paraxantina (84%) ha attività stimolante la lipolisi e causa un aumento della concentrazione di glicerolo e acidi grassi nel sangue. Le dimetilxantine subiscono altre tappe metaboliche e sono escrete con le urine. Il meccanismo d’azione della caffeina è duplice: a basse dosi inibisce competitivamente i recettori presinaptici per l’adenosina, con un maggiore rilascio di catecolamine in circolo e stimolazione del sistema ortosimpatico. A concentrazioni più alte provoca l’inibizione della fosfodiesterasi, enzima che idrolizza i nucleotidi ciclici, con maggiori concentrazioni intracellulari di AMPciclico, apertura dei canali per il calcio e ulteriore rilascio di catecolamine, con effetti di stimolazione cardiaca, vasodilatazione periferica, aumento della pressione arteriosa. A livello gastrointestinale stimola la secrezione gastrica di enzimi digestivi, tuttavia quest’attività è mostrata anche dal caffè decaffeinato, il che suggerisce che l’azione possa dipendere da altre sostanze. Gli effetti negativi del sovradosaggio sono eccitazione, insonnia, tremori, nausea, vomito, aumento della diuresi, tachicardia, extrasistole. Ogni tazzina apporta tra gli 80 e i 120mg di caffeina, il massimo tollerato dall’organismo è di 10g/die, che rappresentano la dose letale. La caffeina potenzia la contrazione de muscoli scheletrici, ritardando l’insorgenza della fatica e migliorando l’attività diaframmatica, oltre ad una modesta azione broncodilatatrice. Un consumo regolare di caffeina porta a tolleranza con affievolimento degli effetti descritti. In relazione alle patologie cardiovascolari, uno studio ha evidenziato come non vi sia correlazione tra il rischio di patologie cardiovascolari e infarto cardiaco e il il consumo abituale di 4 tazzine di caffè al giorno.

Acido clorogenico” è il nome comunemente dato ad una classe di composti polifenolici il cui maggior rappresentante è l’acido 5-caffeoil-chinico, estere dell’acido caffeico con l’acido chinico. È contenuto in maggiore quantità nella varietà robusta e il suo tasso si dimezza durante il processo di torrefazione, infatti la valutazione del tasso di a.clorogenico e dei suoi isomeri è utilizzata per la valutazione del grado di torrefazione. L’acido caffeico mostra spiccata attività antiossidante e si presta a divenire uno dei più innovativi phytochemical. L’assorbimento avviene a livello intestinale e dopo idrolisi ad acido caffeico (contenuto anche nei pomodori). La scoperta più rilevante è la capacità di intervenire sulla regolazione dei livelli di glucosio nel sangue, per azione specifica sulla gluconeognesi e glicogenolisi epatica. Va ricordato che l’acido clorogenico, applicato per via topica, ha un intenso effetto drenante, utile per contrastare il ristagno dei liquidi in eccesso tipico degli inestetismi della cellulite. Una tazzina di caffè contiene dai 12 ai 13 mg di acido clorogenico.

L’acido caffeico ha evidenziato la sua efficacia di agente bloccante i radicali liberi e una spiccata attività antinfiammatoria, anche quando sotto forma di estere, con potente azione inibitoria sulle ciclossigenasi (COX1 e COX2) e sull’elastasi leucocitaria umana, tutti enzimi chiave dei processi infiammatori. Alcuni esteri dell’acido caffeico, provenienti da diverse fonti alimentari, sono risultati possedere un potente effetti inibitorio sulla crescita delle cellule tumorali del colon umano.

Decaffeinato

Il caffè decaffeinato, attualmente il metodo di elezione è tramite estrazione con CO2, risulta impoverito di circa il 98% della caffeina, pertanto gli altri componenti, con tutte le loro proprietà, rimangono inalterate.

Metabolismo glucidico

Studi farmacologici hanno già dimostrato che l’acido clorogenico è un inibitore della glicosidasi e della glucosio-6-fosfatasi (tappa finale della gluconeogenesi). L’effetto sul controllo degli zuccheri è amplificato da un secondo meccanismo di controllo dell’assorbimento tramite le cellule della mucosa intestinale. Il glucosio viene immesso nel sangue, portato ai muscoli, e per la parte in eccesso accumulato in molecole di grasso. Evidenze epidemiologiche suggeriscono come un abituale consumo di caffè riduca il rischio di insorgenza di diabete di tipo 2. Il consumo di caffè decaffeinato risulta parimenti e più ancora rispetto al caffè normale, inversamente associato a una riduzione del rischio di diabete di tipo 2.

Attività lipolitica

Ampiamente utilizzate in cosmesi, le sostanze farmacologicamente attive contenute nel caffè mostrano evidenze di attività lipolitica, da non attribuire esclusivamente alla caffeina, ma, ancora una volta, alla componente clorogenica e caffeica. Interessante a questo proposito è il ruolo della componente monooligosaccaridica (MOS) che, estratta dal caffè, ha mostrato un ruolo nel decremento della massa grassa nell’ambito di una dieta equilibrata e di uno stile di vita attivo.

Protezione epatica

Anche la possibile insorgenza di patologie epatiche degenerative sembra trovi una difesa nel caffè. Studi scientifici hanno evidenziato che per ogni tazza di caffè giornaliera consumata risulta una diminuzione non indifferente del rischio di sviluppare cirrosi epatica.

Attività antiossidante e prevenzione di patologie metaboliche e neurodegenerative

Tra i componenti della dieta, il caffè si pone tra gli alimenti a più alto indice antiossidante, come dimostra uno studio condotto sulla capacità antiossidante e contenuto in polifenoli della dieta brasiliana, di cui il caffè è tra le bevande più consumate.

L’attività antiossidante dei polifenoli contenuti nel caffè sembrerebbe avere anche un effetto positivo sulla prevenzione delle malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson. Tuttavia tale effetto favorevole potrebbe essere attribuito anche alla presenza di caffeina. Lo studio di Ascherio condotto su 300mila soggetti ha mostrato come la caffeina riesca ad intervenire sulla tossicità dopaminergica, responsabile dei danni subiti dai neuroni della substantia nigra che regola gli impulsi all’attività motoria.

La comunità scientifica italiana e internazionale concorda nel sostenere che il caffè consumato in dosi moderate e abitualmente (non oltre 300 mg di caffeina al giorno pari a circa 3-5 tazzine) può essere un aiuto importante nella prevenzione di patologie metaboliche e neurodegenerative.

La tesi che il caffè è benefico per il cervello è stata presentata – nel 2006 – anche al meeting annuale della Psysiological Society: la caffeina sarebbe in grado di aumentare la frequenza di alcune onde cerebrali migliorando quindi memoria e apprendimento.

Riduzione del rischio tumorale

Studi più recenti hanno mostrato come questo acido attivi le difese immunitarie inducendo la formazione di interferone e possieda attività antimutagena. L’azione antimutagena dell’acido clorogenico è collegata all’inibizione della formazione dell’8-idrossideossiguanosina (8-OH-DG). Esperimenti effettuati in vitro e in vivo per comprendere i meccanismi del danno prodotto sul DNA dai radicali ossigenati provocati da agenti diversi hanno evidenziato che l’azione di questi agenti, sia esogeni che endogeni, induce la formazione di 8-OH-DG nel DNA in vitro.

L’attività antiossidante si esplica a livello protettivo cellulare nella riduzione del rischio di sviluppare carcinomi. E’ essenzialmente in questo ruolo che risiede la funzionalità protettiva nei confronti del rischio tumorale. Una recente meta analisi dimostra come il consumo di caffè abituale riduca del 40% il rischio di sviluppare un carcinoma epatocellulare così come, nel 2007, già si pubblicava un’evidenza della riduzione del rischio di carcinoma epatico legata ad un incremento del consumo di caffè.

Fonti:

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